“Si nasconde, cioè, dietro la necessità di immaginare un futuro possibile per un territorio consolidato, la chiave di accesso al suo passato: è proprio attraverso l’elaborazione di un pensiero trasformato, infatti, che si apre la necessità di interrogare ciò che già esiste”.
Giorgio De Chirico, Le muse inquietanti (1916-17)
In quest’opera ogni oggetto ha una scala di rappresentazione e regole geometriche autonome, che lo isola dagli altri. Proprio come i nostri urban voids, tessuti isolati, dimenticati, volutamente e coscienziosamente esclusi da un disegno d’insieme (quello che oggi sembra essere la nostra città) con bordi già ben delineati e confini oltre i quali vi è il “nulla”. Un nulla che bisogna ricucire, un nulla che in realtà è vivido e ben presente nel tessuto urbano, perché col passare del tempo quelle famose macchie marroni (le brown areas) tenderanno a divenire le aree più evidenti del quadro che abitiamo. Gli oggetti di De Chirico sono quasi spaventosi, perché insoliti, estraniati dal loro contesto abituale, eppure tanto comuni (statue, architetture, piazze, manichini) quanto nuovi, perché cuciti fra loro diversamente, come non ci si aspetterebbe. Credo che risieda proprio in questo la forza comunicativa del quadro, elementi familiari che rinascono iconici.
Si potrebbe allora approcciare alla stessa maniera, creare cioè nuovi layers, senza eliminare gli strati sottostanti, dando vita a livelli d’arte permeabili e tra loro interconnessi. Partire quindi dalla tradizione per creare il nuovo, pensando ad infrastrutture di nuova generazione che “non promuovono l’espansione della città, ma ne invertono la direzione dello sviluppo”.
Commenti
Posta un commento