Studio di un'opera - "Architettura e Modernità"

Rem Koolhaas (parte settima e ottava)

Un architetto che lavora all’idea di architettura come un insieme di più discipline fra loro interconnesse e sinergiche, Rem Koolhaas porta in ogni suo progetto una dichiarata idea di architettura-paesaggio, presentata come una composizione di layers e schemi che fra loro possono essere sovrapposti, sottratti o sostituiti. Un tutt’uno tra naturalità, paesaggio e costruito, che porta Koolhaas ad essere tra le personalità di spicco della mostra Deconstructivism Architecture (1988, New York). La nuova direzione in cui l’architettura muove in questi anni è il decostruttivismo, in cui la poetica del grazioso americano muta nel casuale, spingendosi verso chiavi di lettura destabilizzanti. L’esempio architettonico che inquadra in un’unica immagine l’idea del cambiamento che sta attraversando il mondo dell’architettura, è la Casa Gehry a Santa Monica: materiali di scarto e forme tutt’altro che ordinarie, decostruiscono e ribaltano il convenzionale senza annullarlo, ma cambiandolo di significato. L’idea del decostruttivismo come stile risulta abbastanza efficace nell’innestare un processo che vedrà il fiorire di opere di architettura, mostrandosi come un periodo paragonabile a pochi altri momenti storici. Sono questi, infatti, gli anni in cui il mondo si apre -da Occidente a Oriente- lungo un percorso fatto di momenti salienti che non possono non essere strettamente connessi al nuovo fervore. Dall’elezione del nuovo papa Wojtyla, passando per il “principio di trasparenza” di Gorbacev, dalla caduta del muro di Berlino fino alla prima Guerra del Golfo, è un periodo di cambiamenti annunciati, e forse inevitabili, in cui anche l’Oriente vive un’enorme fase di espansione e la Cina avvia il suo percorso verso la potenza mondiale che oggi conosciamo. Siamo nel periodo che il sociologo Toffler definisce “terza ondata”, quella in cui, dopo la produzione dei beni agricoli e quella industriale, ha un ruolo cruciale nella società l’informazione. 

L’architettura alla fine del secolo inizia ad avere una forma che, appunto, “informa” e che appartiene, in tutto e per tutto, al grande mondo della comunicazione contemporanea. Questo cambiamento porta a galla due grandi questioni che assumono importanza rilevante nel campo dell’urbanistica e della città. La prima è quella delle brown areas (aree dismesse), sono delle aree molto estese, svuotate dagli utilizzi industriali; la seconda questione riguarda il riconsiderare il rapporto architettura-natura e risarcire di naturalità gli ambienti a cui a cui è stata sottratta. Sono anni in cui la comunicazione è fulcro e motivo di ripensare la città: in Europa come in America, si fa la corsa a chi attrae più residenti o visitatori. E’ un fenomeno fotografato, nudo e crudo, da Rem Koolhaas nel suo libro Delirious New York (1977) in cui si distacca dal ritratto ideologico della città europea. Seguirà poi il grandissimo successo di S,M,L,XL in cui l’approccio ai progetti a scala urbana diviene comparabile, se non uguale, a quello utilizzato per i progetti più piccoli. Così tratta gli stessi principi "anti graziosi" in Casa dell’Ava (Parigi, 1991) come nel progetto di Euralille (1995), gioca, costruisce e decostruisce uno spazio piccolo al pari di un masterplan.

Nei primi anni novanta la parola chiave diviene “diagramma”, intesa come una serie di deformazioni geometriche riconducibili all’idea originaria, una sorta di DNA generatore del progetto. Le opere basate su un’impostazione diagrammatica hanno un punto di forza nella propria processualità, che non si conclude nell’esito finale, ma si estende nel tempo con la propria evoluzione. L’arrivo del diagramma porta con sé il tema caldo della modellazione 3D e la crescente necessità di avere un modello tridimensionale “universale” che conservi tutte le informazioni del progetto. Opere come la cupola vetrata del British Museum, con elementi triangolari, ciascuno diverso per geometria e giacitura, non sarebbero stati possibili senza questo nuovo approccio informatico. Il modello elettronico diventa quindi uno strumento per studiare e verificare, ancor prima che il progetto sia in fase di realizzazione, ogni elemento architettonico in tutte le sue possibili varianti, un insieme vivo in continuo divenire. Si tratta della più importante conquista dopo l’invenzione della prospettiva.

Un altro campo di ricerca dell’architettura legata all’informatica è quello infrastrutturale. Se nel periodo modernista le architetture si sollevavano dal suolo, oggi esse si radicano in esso e ci convivono. Lo sguardo ora è rivolto ai modelli matematici, parametrici ed interconnessi, con l’obbiettivo di renderli una cosa concreta appartenente a questa nuova generazione dell’architettura. In Italia due opere significative che seguono questa direzione sono il Parco scientifico Kilometro Rosso di Jean Nouvel e la Nuova Fiera di Milano di Massimiliano Fuksas, coperta da una vela trasparente che evoca una mesh. Anche la comprensione dello spazio viene ribaltata come nuova percezione, non esiste più uno spazio dentro il quale si collocano le architetture, ma una serie di relazioni che, deformandosi, creano insieme spazio ed oggetto architettonico. Come abbiamo detto, l’informazione è la materia prima dell’architettura e lo spazio è informazione, per progettare in questa nuova fase storica è necessario quindi introdurre l’elemento catalizzatore della nuova ricerca architettonica: l’interattività. Essa è sintesi dei sistemi informatici, interconnessi e mutabili, e rappresenta al contempo l’idea del continuo divenire e della riconfigurazione del tempo e dello spazio. L’architettura oggi può reagire e inter-reagire ai desideri degli utenti in una comunicazione che è in continua evoluzione. L’architettura che fa tesoro dell’informatica può divenire uno strumento di trasformazione delle condizioni ambientali: può depurare l’aria, filtrare la luce e interagire in maniera diretta con l’ambiente, divenendo un architettura consapevole e sostenibile. Si crea in questo periodo storico una nuova coscienza ambientale, distante dal modello industriale che vedeva il dominio dell’uomo sulla natura. Il rapporto adesso è di reciproca integrazione tra natura e uomo e quindi tra architettura e ambiente. Nelle aree dismesse (la questione delle brown areas) nascono progetti iniettati di vegetazione e multifunzionali che, generati da processi tecnologici ed informatici, ridisegnano e disinquinano la città. 


Commento

L’architettura di Koolhaas è in grado, con un unico segno, di risolvere uno spazio compreso (in between) tra due o più giaciture, che siano esse orizzontali o ribaltate in verticale. E’ un gesto che nasce da una naturalezza che fa intendere quel tratto non solo appartenente al progetto, ma con esso concepito fin dall’intenzione. I layer sono stratificazioni di suolo, terreno, sabbia, natura; le connessioni sono come generate da un’unica maglia che ora si dilata e ora restringe per dar forma ad una nuova tessitura, tutto in assoluta connessione con l’intorno. Koolhaas considera gli “ junk-spaces” (come ad es. gli ipermercati) spazi “interessanti” in virtù del loro essere in continua trasformazione e in relazione alle mutevoli funzioni. Vede quindi, nei nuovi centri commerciali, nelle stazioni delle odierne metropoli e nei grattacieli, l’espressione potenziale di quella “energia dei flussi” che l’architettura deve poter essere capace di riqualificare. 

Per Koolhaas oggi l’architetto dovrà confrontarsi sempre più spesso con il vuoto, il suo spazio è "immaginare il nulla". Più della progettazione delle città è importante la loro decomposizione. Egli sembra voler intercettare i dati del cambiamento per fare in modo che il progetto, seppur non anticipi la realtà, possa avvicinarvisi il più possibile.

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